martedì, novembre 08, 2005

La morte in faccia


“A Torino va in mostra la morte”, è il titolo di un articolo che troviamo oggi su un quotidiano italiano. Un’artista thailandese, esporrà in una sala dell’università del capoluogo piemontese dieci salme con il viso coperto da una garza (per tutelarne la privacy) che faranno da soggetto acchiappa stupore, mentre lei si esibirà in un monologo-dialogo rivolgendosi direttamente ai corpi inermi.
Non è la prima volta che io, un artista, predico a malcapitati amici, l’importanza della censura ma è certamente la prima volta che pubblico questa opinione pressato dall’attualità e dal clamore di una notizia.
Lo spettacolo è censurabile sotto due aspetti: il buon costume e la valenza artistica.
Il buon costume per i giuristi e i sociologi è l’insieme dei principi etici condivisi dalla gran parte del corpo sociale in un dato momento storico, così che un atto contrario ad essi sarebbe percepito dalla comunità come immorale o vergognoso.
La valenza artistica per definizione non esiste, almeno per chi vi scrive. Però vi sono dei casi in cui la creazione artistica deve cedere il passo alla censura di Stato quando questa, appunto, è nociva al comune denominatore della morale pubblica che si specchia nel principio del buon costume.
Il principio in questione è in quanto è, pur essendo oggetto di discussione e a volte di polemiche, resta dunque un punto di riferimento a cui tutti, senza alcuna eccezione, devono ispirarsi.
L’arte e le regole imposte sono come l’acqua e l’olio ed è compito degli artisti lottare per una libertà d’espressione che sia riconosciuta proprio dagli ordinamenti statali ma il limite del buon costume deve essere rispettato persino da chi fa arte.
Nel momento in cui l’arte lede o potenzialmente può essere nociva ad un altro essere, la ragion creativa deve cedere il passo alla ragion di Stato.
La censura è uno strumento di regolazione che non dovrebbe mai mancare in una civiltà avanzata, eppure è impraticabile il suo perseguimento fino a quando non si troverà il modo di eleggere dei censori, arbitri imparziali e illuminati che tanto fanno pensare al governo dei filosofi di Platone e quindi ad un’utopia.
E’ innegabile che l’esposizione di corpi senza vita, finalizzata ad una messinscena, seppur di buona forgia, è un atto che ripudia il comune – ed il mio senz’altro! - senso del pudore e della pietà e viene percepita come un’operazione di cattivo gusto che indulge al senso del macabro.
A nulla valgono a mio avviso, le giustificazioni dell’artista – della quale non sento il bisogno urgente di rivelare il nome – che è mossa, spiega, dall’esigenza di spiegare il vero senso della morte agli italiani che con essa hanno un cattivo rapporto, mentre in oriente la si accetta con spirito sereno e quasi compiaciuto. ( Per dovere di cronaca è giusto dire che proprio nella sua terra d’oriente la pièces non è stata autorizzata se non in forma di video).
A me sembra che la nostra epoca produce pochi veri artisti e soprattutto poca vera arte e se non si riesce a stupire più il pubblico senza recitare in mezzo ai cadaveri o senza impiccare dei pupazzotti al centro di Milano, allora è meglio tacere e coprire la propria incapacità con un telo di buon senso.

di Amanteo


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