“Non è tanto vivere che mi spaventa, quanto attendere la fine, li in fondo a quella strada”. Le notizie dello sciopero generale rimbalzavano da giorni da un canale televisivo all’altro. Era quasi certo che, quella mattina, lui sarebbe rimasto fermo a quel bivio a ragionare, con il giornale caldo caldo appiccicato al braccio destro, sull’opportunità di prendere l’auto o la moto per arrivare in tempo. A completare il quadro di quella mattina, ci pensò quel tizio delle previsioni meteo che segnalava possibili temporali e burrasche nel pomeriggio su tutta la città. Intanto il tempo sul suo polso non lasciava più, spazio ad indugi. Va bene, si parte: “ Vado in auto”. Il piacere di guidare in mezzo al traffico con la sigaretta spenta tra le dita e la radio sintonizzata sulle previsioni economiche, gli diede una certa fiducia, ma lui sapeva bene che non si trattava di fiducia, quanto di tempo. In realtà, lui, di tempo, non ne aveva più; era già passato da mezz’ora l’orario prestabilito d’arrivo. Eppure quel concetto di tempo si era confuso con la notizia del giocatore di hockey tedesco che, a due mesi dalla morte certa, aveva deciso di continuare a giocare e a parare tutti i puck che gli venivano offerti. Si trattava di un portiere, così lui penso che in fondo la decisione era giusta. Infatti, tenuto conto che il portiere tedesco di hockey aveva un tumore al cervello che lo avrebbe “finito” in due mesi e tendendo conto che un'incontro di hockey su ghiaccio dura normalmente 60 minuti (tre tempi - chiamati anche drittel - da 20 minuti), poiché ogni interruzione di gioco comporta lo stop al cronometro (si parla di minuti effettivi di gioco), una partita dura in realtà molto più a lungo (un tempo dura solitamente tra i 30 e i 40 minuti). Gli intervalli fra un tempo e l'altro durano 15 minuti. Quel molto più a lungo gli sembrò un’ottima cosa per il portiere malato, infatti avrebbe potuto giocare tanto di più rispetto a quei 60 minuti che sono consentiti dal regolamento. E poi un portiere deve faticare meno degli altri giocatori. In quei minuti di “stop al cronometro” si consumava una netta vittoria del portiere di hockey sul tempo “prestabilito”.
Il ragionamento fu interrotto di fatto dall’inversione a U di una donna dai capelli non biondi ma biondi che, con una mano sull’orecchio e l’altra sul volante dell’auto, sia accingeva a manovrare incurante del prossimo ma impegnatissima in squisita conversazione telefonica.
E così lui si dimenticò del portiere di hockey riprendendo il filo del tempo che ormai scorreva a passo di lepre sul suo polso. Il semaforo era sull’attenti sul suo pezzo di marciapiede sin dalle 5.45 del mattino e non aveva intenzione di rivoluzionare la sua tabella di lavoro, così di rivoluzionario agli occhi di lui, gli apparve solo il colore. L’argomento “politica” tra le altre cose, era bandito dalle sue discussioni sin da maggio. L’ennesima delusione elettorale lo avevano portato a dubitare persino della sua prossima partecipazione al voto. Ma poi, come sempre, alla vigilia delle nuove elezioni, non si sarebbe tirato indietro. La politica, in effetti, era stata il suo vero hobby. Non c’era dubbio che, in passato, una tribuna politica rappresentasse per lui, un momento di crescita culturale e, non di meno, uno scampolo di divertimento. Le giacche e le cravatte degli “onorevoli” in televisione lo affascinavano. E si chiedeva, da principio, se quegli indumenti così televisivi gli fossero forniti dalle truccatrici o se fossero invece stati scelti dalla mogli, sempre attente ai colori e alla moda. In realtà, tempo dopo, non gli fu difficile immaginare, che la scelta delle cravatte gravasse sui “sempre incravattati” onorevoli e non sulle loro mogli, spesso concentrate a far quadrare bilanci non familiari o a rendere l’aria di casa un po’ meno pesante appostando utilissimi incensi indiani in giro per l’attico. In realtà lui aveva conosciuto molti politici e aveva persino visitato le loro case, ma in quel momento quei tempi passati gli sembravano evanescenti a confronto con il tempo ritardatario del suo orologio. La pioggia però, seguitava a bagnare la città e la scelta di prendere l’auto, si stava rivelando, giusta. Di scelte giuste lui ne aveva fatte nella sua vita. Non aveva speso quattrini inutilmente e sin da ragazzo si era prefissato di essere un tipo serio. Quella volta ad esempio che insieme ad un suo compagno di scuola aveva deciso di disertare il quarto d’ora di ricreazione per mangiare in santa calma un’arancia, gli era sembrata una scelta seria e originale, da andarci addirittura fiero. E quell’altra volta in cui aveva sottoscritto un dispendioso abbonamento al Teatro dell’Opera solo per poter indossare il cappotto color cammello ereditato per forza dal padre. I ricordi di quegli stucchi e quei fini ori, luccicavano tra i fanali accesi delle auto ferme all’incrocio. “Non è tanto morire che mi spaventa, quanto l’idea stessa della fine del corpo”. Il traffico si diradava ormai e l’orologio segnava un ritardo di cui lui non si curava più e malgrado avesse spiovuto già da tempo, il cielo minacciava ancora pioggia e la scelta di prendere l’auto quella mattina, gli sembrò giusta.
Racconto di Amanteo.
giovedì, novembre 13, 2008
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